edoardo albinati, untitled, cattività

Marco mi ha mostrato le fotografie scattate in carcere. Almeno la metà dei detenuti ritratti li conosco bene: nelle foto di M. appaiono quasi tutti più anziani di quel che sono al naturale o di come li vedono ogni giorno i miei occhi. Eppure, forse, la macchina ha catturato qualcosa di realmente fedele al significato della loro esistenza, fedele proprio perché distaccato, neutro, argenteo, e che la rappresenta meglio di quanto faccia il mio contatto quotidiano. Il calore, i movimenti, la vitalità immediata ingannano, producendo una distorsione illusoria simile a quella per cui taluni sono indotti a credere che il carcere sia un luogo di sentimenti forti, sani e veri (niente di più falso). Chi sono, in definitiva, questi personaggi dai capelli rasati a due millimetri dal cranio? Dal volto allucinato e fermo, tagliato in nero dalle occhiaie? Sono spiriti piuttosto che uomini, fantasmi di mezza età, mezzi uomini o spettri troppo umani, in tute da jogging, allenati per ottenere il nulla, sepolti prematuri, vecchi senza decoro di vecchiaia. Sembrano nelle foto ciò che sicuramente saranno. Dunque è giusto che appaiano tali fin da ora. Ecco perché queste foto mi paiono distanti dai soggetti originali eppure mi turbano tanto per la loro sinistra appartenenza ad essi: sono premonizioni, profezie.
Edoardo Albinati

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