fabio sargentini, spqr

L’idea di una mostra può venire da un’illuminazione o sedimentare lentamente dentro di noi e poi finalmente acquistare chiarezza. La mostra Senatus Popolusque Romanus ha avuto proprio quest’ultima caratteristica. Mi chiedevo perché tenessi sul tavolo un librettto speditomi da Marco Delogu con delle polaroid di busti romani scattate ai Musei Capitolini. Passava il tempo ma il libretto non tornava negli scaffali. Il caso ha voluto che, in un dipinto in gestazione di Stefano Di Stasio, ritrovassi la somiglianza del soggetto sulla tela con un imperatore fotografato da Delogu. A quel punto mi è scattata l’idea della mostra: accoppiare fotografo e pittore in un vis à vis. I lineamenti degli antichi qquiriti si sarebbero rivisti tali e quali nei visi dei romani odierni. Delogu rischiara con luci di taglio i volti di marmo nella penombra museale e li fa sembrare vivi accanto a noi. Di Stasio, con la macchina del tempo della pittura, ruba dal passato quei senatori e quella gente del popolo, ne trascrive il dna: li situa estraniati in contesti urbani contemporanei, in un presente metafisico che risucchia l’antichità originaria.
Questa mostra, sotto il profilo concettuale, rappresenta una sorta di clonazione artistica.

Fabio Sargentini (gallerista), estratto da Marco Delogu «SPQR», 2003

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